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Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica

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News

  • 21/03/2016

    Inaugurata con successo la mostra a Torino

    21/03/2016

    La mostra Il confino politico ad Ustica nel 1926-27 allestita nel Museo del Carcere "Le Nuove" di Torino, in Via Borsellino 3, dove è stata inaugurata il 19 Marzo scorso, presentata da Felice Longo, in rappresentanza del nostro Centro Studi. Sono intervenuti il Direttore del Museo, Dott. Felice Tagliente, che ha ricordato alcune figure di patrioti rinchiusi in quel carcere durante il fascismo; l'avv. Bruno Segre, Comandante Partigiano e Presidente dell'A.N.P.P.I.A., che ha ricordato protagonisti della lotta partigiana e del confino politico; la prof.ssa Gisella Giambone, staffetta partigiana, figlia di Eusebio Giambone, confinato politico a Castel Baronia nell'Irpinia, combattente antifascista, medaglia d'oro al valor militare alla memoria, catturato dai fascisti a Torino nel 1944 e fucilato al poligono del Martinetto; il Dott. Antonio De Vito, figlio di Giuseppe, confinato politico a Ustica e Ponza, autore del libro dedicato al padre Il sovversivo con il farfallino, che si è soffermato sulla scuola organizzata a Ustica da Gramsci e Bordiga e su alcuni aspetti della vita confinaria a Ustica.

    La mostra resterà aperta fino al 2 Aprile. La visita è libera e gratuita tutti giorni dalle 16,00 alle 17,30, mentre per chi visita il Museo rappresenta l’ultima tappa. La mostra è stata realizzata dai volontari del Centro studi e documentazione Isola di Ustica.

Mostre

  • Il confino politico a Ustica nel 1926-27

    Il confino politico a Ustica nel 1926-27

     Il confino politico a Ustica nel 1926-27 "Immotus nec iners"

    Tra i confinati comuni inviati sull’isola sin dalla sua colonizzazione del 1763 erano sempre stati presenti i “politici”: i nemici dei re e i contestatori degli aumenti delle tasse del periodo borbonico, i patrioti del Risorgimento, i renitenti alla leva del nuovo stato unitario, gli anarchici di fine Ottocento, gli oppositori delle guerre coloniali, i deportati libici.
    Fino al 1926 i politici, rispetto ai coatti comuni, costituivano una minoranza ma con l’approvazione delle leggi “fascistissime” emanate quell’anno la loro presenza diventerà più consistente sino a soppiantare quella dei confinati comuni. Ne transiteranno circa 600, facendone una «selva di campanili».
    Il tentativo di emarginazione e di “espulsione” dalla società attiva voluto dal regime attraverso il confino finì però per essere occasione di incontro, discussione e confronto fra i politici di ogni ideologia ed estrazione sociale, una vera e propria convention dell’opposizione. Il confino fu, infatti, una fondamentale esperienza costruttiva. La convivenza forzata fra persone di cultura, di idee politiche, di classe, di religione diverse, che forse non si sarebbero mai neppure incontrate, finirà, infatti, con il porre le basi della grande alleanza antifascista che, iniziata nelle carceri e nei luoghi di relegazione del regime, contribuì alla crescita dello spirito democratico nel Paese: un vero e proprio laboratorio di formazione politica e civica.
    Tra lo stupore degli isolani e l’insicurezza degli agenti di polizia Gramsci e Bordiga, arrivati nei primi del dicembre 1926, impiantano una scuola e poi i confinati politici organizzano la vita sociale: biblioteca pubblica, mense, spacci, attività sportive (calcio, bocce, water-polo), assistenza nella prima sistemazione e altro.
    Questo modello di vita confinaria originale e straordinario è un vero controsenso che testimonia quanto il regime abbia sottovalutato le conseguenze della scelta del confino politico: un vero e proprio boomerang, in quanto luogo di aggregazione e di formazione delle coscienze dell’antifascismo. Allorquando, tardivamente, il regime ne prenderà coscienza, inventerà l’esistenza di un complotto a fini eversivi con la complicità di stati stranieri per smantellare la colonia usticese trasferendo i confinati a Ponza e a Lipari, dove alcune di queste iniziative vennero riproposte, anche se queste subiranno eccessi di limitazione e di controllo poliziesco.
    Il rapporto della popolazione locale con i confinati politici è eccellente: alcuni Usticesi ospitano i politici nelle loro case e ne subiscono l’influenza. I giovani sono affascinati dalle intelligenze e le ragazze incontrano amori non contestati dai familiari.
    Questa mostra si propone di recuperare alla memoria collettiva e di restituire alle giovani generazioni alcuni frammenti di una pagina importante della nostra storia locale e nazionale, com’è, appunto, quella del confino di polizia dell’epoca fascista: una vicenda contrassegnata da forti passioni e da grandi ideali e che può anche essere il racconto di tante vite spezzate solo per affermare un diritto, diremmo quasi sacro, qual è quello della libertà di pensiero.
    Le fotografie provenienti da archivi pubblici e privati, i documenti e le testimonianze scritte dai protagonisti di quella singolare vicenda, pur nella loro incompletezza, ci permettono di conoscere meglio, attraverso una ricostruzione cronologica e tematica, i luoghi, i personaggi, gli eventi, i momenti e le atmosfere della vita confinaria a Ustica negli anni Venti, nonché alcuni aspetti del contesto ‘fisico’ e sociale isolano in cui essa si venne ad inserire. Un microcosmo, cioè, che era, in quegli anni, improvvisamente diventato quella sorta di laboratorio politico e culturale. Vengono riproposti i volti, le testimonianze e, più in generale, la particolare e intensa esperienza, politica e umana insieme, che i documenti a nostra disposizione hanno reso possibile. Uomini e donne, quelli del confino antifascista e delle carceri del regime, molti dei quali riverseranno unitariamente il loro straordinario patrimonio politico e ideale, maturato anche attraverso l’esperienza narrata dalla mostra, nella lotta di Liberazione e nella vita dell’Italia repubblicana.

    Mario Genco, Il “museo” delle storie quotidiane

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