Appuntamenti
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Giorno 9 giugno 2024 ricorreva il centenario dell'assassinio dei fratelli Rosselli.
Era il primo convegno dedicato a Nello Rosselli e si svolgeva alla presenza della figlia Silvia in un vecchio camerone per confinati ora sede del nostro Centro Studi. Silvia, allo svelamento della lapide posta sulla parete della casa abitata dai genitori, disse commossa –lo ricordiamo bene- «Mio papà aveva ventisei anni e la mamma ventidue. Dovettero essere molto felici in questa casa se in quelle condizioni mi concepirono. Questo per me è un ritorno a casa»1.
Nello era arrivato a Ustica il 4 luglio 1927 e dopo aver convissuto qualche giorno con Riccardo Bauer trovò casa per accogliere Maria, sua sposa da sette mesi. Nel suo bel racconto dell’esperienza di confinato A Ustica scritto nel 1932 e pubblicato postumo nel 1946 scriverà: «Era ottobre ormai, ma gli alberi non diventavano rossi perché quelli di piazza eran sempreverdi. […] Si capiva che era l’autunno semplicemente perché rinfrescava e le giornate accorciavano. In un bel mattino d’autunno giunse mia moglie. Io le andai incontro, giù sulla spiaggia […] Mia moglie era in buona salute e molto lieta di vedermi. La condussi nella nostra casetta, e quello che più la stupì fu che il W.C. (naturalmente senza sciacquone) sorgesse in cucina, proprio accanto ai fornelli. Più tardi ci si abitò […] Fu quello un periodo veramente felice della nostra vita»2.
E più avanti: «Passò l’autunno, passò l’inverno. Quando tornarono le rondini, fui posto in libertà. Gli amici vennero a salutarci sino in fondo allo stradone nuovo, e il pastore ci disse: ‘Ringraziate Gesù’. Salimmo sul battello, che faceva l’altalena nel porticciolo, e guardammo il paese. “Cara Ustica, in fondo ti vogliamo un po’ bene” disse mia moglie, e aveva qualche luccicone negli occhi. “Molto bene”, dissi io soffiandomi energicamente il naso»3.
Il 27 gennaio del 1928 Mussolini ne aveva disposto la liberazione.
Tenera e composta la narrazione dell’arrivo della moglie, senza veli il suo distacco dall’isola, come era nella sua sensibilità abituale. Nello tornerà ancora, dopo la fuga del fratello da Lipari, il 7 agosto 1929, presentandosi agli amici, confinati e isolani, dopo i disagi del viaggio, come un «perfetto martire del Risorgimento»4. Ne ripartirà 20 giorni dopo per Ponza dove il confino sarà materialmente e psicologicamente più duro.
Nello a Ustica non incrociò il fratello Carlo perché questi era partito pochi giorni prima del suo arrivo.
Carlo era arrivato il 20 o il 21 maggio 1927. Nell’immediatezza del suo arrivo con linguaggio intenso e partecipato scrive: «Sbarco a Ustica. Un pugno di casette basse, bianchissime, arrampicate su una terra pietrosa e bruciata. Bellezza tragica e nuda: atmosfera greca, civiltà africana. Cadono ferri e catene. Un po’ di massaggio ai polsi, formalità, saluti e poi via in ricognizione per i vicoli sporchi e animatissimi: maiali, galline, cani, pulcini, guardie, confinati, coatti. L’arca di Noè non doveva essere precisamente piacevole»5.
C’è tutto il suo dinamismo ma anche la sua capacità dell’analisi introspettiva: «Eppure, quale ebbrezza strana mi prende? Questo primo giorno di vita usticese è eccitante, mi pare di essere nato una seconda volta. Dopo una lunga prigione, il primo giorno di confino è l’orgia, l’esplosione dell’”io” fisico. […]. Il nostro destino è di perdere in estensione e di guadagnare in intensità. In un giorno noi conquistiamo quello che una vita banale e volgare non darà mai. Anche in prigione, nell’aula della Corte di Assise di Savona, abbiamo toccato punte altrimenti inaccessibili»6.
Gli bastò poco per trovare adeguata sistemazione: avrebbe voluto la casa del prete alla Petriera fuori dal limite, ma si contentò di un «un magnifico belvedere nella piazza principale del paese»7, affacciato sul mare. Vi si insediò con Lorenzo Da Bove e Ferruccio Parri; poi accolse Riccardo Bauer e avviò «una mensa mosca per un pasto quotidiano»8.
Era veramente ebbro per la “libertà” ritrovata: «siamo tutti e quattro leggermente stonati per il brusco passaggio, ma molto contenti. I primissimi giorni mi pareva di sognare e gustavo infinitamente gli infiniti piccoli atti autonomi un tempo quasi incoscienti. Essere padroni di dirigersi a sud-a nord, di prendere un bagno o meno, di fare una piccola spesa, di sbarbificarsi, di dormire, di scrivere, di guardare questo orizzonte immenso non limitato in veruna guisa sono tutte soddisfazioni prelibate che mi sto prendendo a sazietà»9.
Ma giunse presto l’ordine di arresto per partecipare al processo di Savona e dovette assaporare il carcere usticese « dopo una serie di banchetti e bicchierate d’addio, accompagnati da una vera processione di amici, ci siamo presentati alla porta del castello che già difese a suo tempo Ustica dai Saraceni. Ed ora eccoci in una minuscola ma freschissima cella, circondati dalla fraterna attenzione degli amici, in attesa della traduzione straordinaria»10.
Lascerà l’isola il 29 giugno 1927.
Nonostante i disagi della vita materiale, Carlo manterrà un buon ricordo di Ustica: «sento che Nello è sulla via di combinare per la casetta rossa del prete […], una vera delizia. Solo la grande terrazza che gira tutto intorno alla casa rappresenta una risorsa magnifica»11 ; «nella villetta del prete è rimasto un pezzetto del mio cuore»12.
Ne avrà nostalgia ancora nel 1932 quando da Parigi ricordando i suoi compagni di confino scrive alla madre: «Sono secoli che non so nulla di Ferruccio e Carletto. Scrivete loro? E Dabove è tornato a casa? Dio come quel caro mondo è ormai lontano, mentre doveva essere ancora oggi (pensa!) il mio»13.
Una raccolta di rare e pregevoli opere pittoriche e bibliografiche, proveniente dal patrimonio storico-artistico del Museo Ignazio Mormino di Villa Zito a Palermo (Fondazione Banco di Sicilia), compone la mostra “L’Isola dei vulcani” esposta nel 2006 nei locali del vecchio Municipio.
Cinquanta le opere esposte fra incisioni, gouaches e volumi illustrati che mettono ampiamente in risalto il fascino ed il mito che le eruzioni vulcaniche hanno sempre destato. Nella seconda metà del Settecento le scoperte archeologiche degli scavi di Ercolano e Pompei, la descrizione dei templi di Paestum fatta da Winckelmann, la serie delle incisioni che li illustravano eseguite da Gian Battista Piranesi, l’impossibilità di visitare la Grecia liberamente in quanto in mano all’Impero ottomano, la grande produzione di studi sulla Sicilia greca e l’evoluzione del gusto che vedeva nell’arte dell’antichità classica i modelli di una perfezione che bisognava instaurare nel mondo, spinsero molti poeti, pittori, nonché aristocratici e facoltosi borghesi ad affrontare il viaggio in Sicilia. Le rivelazioni dei viaggiatori, naturalisti e vulcanologi, ispirati dal razionalismo illuminista, da Patrick Brydone a William Hamilton, dal Compte de Borch a Déodat de Dolomieu, da Lazzaro Spallanzani a J. A. de Gourbillon, sulle ascensioni dell’Etna e dei vulcani delle Eolie, e le descrizioni del paesaggio, delle grandiosi eruzioni e dei fenomeni vulcanologici, alimentano un richiamo irresistibile per studiosi, geologi o eruditi alla ricerca dell’emozione e dell’avventura. Le immagini che maggiormente caratterizzano questa esposizione sui vulcani in Sicilia sono quelle delle opere pittoriche a la gouache, tecnica molto diffusa a Napoli nel vedutismo dei primi anni della Scuola di Posillipo tra Settecento e Ottocento e che riscuote successo anche in Sicilia quando le vicende storiche costringono la corte borbonica a trasferirsi da Napoli a Palermo.
Non meno rilevanti sono il segno grafico e la forza espressiva che si ritrovano nelle vedute incise, come nelle acquetinte dei crateri in eruzione di Stromboli e di Vulcano mutuate da opere di Luigi Mayer; nelle rare acqueforti seicentesche che riprendono i crateri dell’Etna in eruzione, come nell’incisione a bulino di Franz Huys del 1632 Freti siculi sive Mamertini vulgo il faro…, ripresa da un’incisione di Pieter Brueghel, che compie un viaggio in Sicilia tra il 1552 e il 1556; nell’originale veduta dell’isola Ferdinandea sorta nel canale di Sicilia da attività vulcaniche sottomarine; nelle raffinate piccole acquetinte tratte dal resoconto di viaggio di J. B. Cockburn pubblicato nel 1815, nonché nelle vedute e carte geografiche che riguardano Ustica, anch’essa isola di origine vulcanica. In mostra erano inoltre presenti tredici volumi di grande interesse storico e iconografico quali, fra i più rilevanti, Campi Phlegrei, ou observation sur les volcans des Deux Sicilies di William Hamilton, pubblicato a Parigi nel 1799, le cui tavole comprendono 76 vedute, tutte colorate a mano all’acquerello e alla gouache, che illustrano i vulcani dell’Italia meridionale ed insulare, le più importanti coeve eruzioni; i due Voyage pittoresque des isles de Sicilie… di Jean Houel e di Richard de Saint-Non-Dominique Vivant Denon, pubblicati rispettivamente a Parigi tra il 1771 ed il 1787 e tra il 1781 e il 1786, nonché l’opera Die Liparischen Inselndi Ludovico Salvatore Asburgo-Lorena arciduca d’Austria, comprendente otto volumi per le sette isole Eolie e un volume interamente dedicato a Ustica, pubblicati a Praga da Heinr Mercy Sohn tra il 1893 e il 1898.
Nel centenario della lunga sequenza sismica che colpì Ustica nel 1906, e che portò alla completa evacuazione della popolazione dell’isola tra marzo e aprile dello stesso anno per il timore di una ripresa dell’attività eruttiva, L’Isola dei vulcani ha voluto rappresentare anche un momento di studio e riflessione sulla difficile convivenza dell’uomo con le forze della natura.
Per approfondimenti leggere l’articolo:
* Francesco Buccheri, L’ Isola dei Vulcani, in Lettera n. 23-24 maggio-dicembre 2006.