Fototeca Toponomastica
Grotta di Munzedda
Grotta di Munzedda
Questa grotta faceva parte di un antico condotto lavico insieme alla Grotta del Tuono. La grotta di Munzedda si apriva sulla costa e la Grotta del Tuono si apriva in mare. Il condotto lavico, per via dei crolli causati da una frana che ne hanno cambiato la conformazione, non è più visibile, ma è probabile che il crollo sia avvenuto in seguito alla colonizzazione del 1763, quindi in tempi piuttosto recenti. La grotta di Munzedda si trova nel versante Sud dell'isola verso la contrada Arso e non è facilmente raggiungibile. Il nome della grotta è un toponimo ispirato dai cumuli presenti costituiti da pietrisco e terra solidificati ricoperti da incrostazione calcarea causata dallo stillicidio, questi sono
i "munzedda" per l'appunto, dei "mucchi" che ricordano le montagnette di grano o di legumi. La grotta per il suo accesso difficoltoso non ha mai avuto una destinazione d'uso come spesso è accaduto per altre ampie cavità sotterranee , salvo quella di un riparo dalla pioggia per i contadini a lavoro nei campi vicini.
Punta Erbe bianche
Punta Erbe bianche
Contrada Crocevia
Contrada Crocevia
Quella che ora si chiama Via della Crocevia sino a metà del Novecento era individuata col toponimo "San Bartolicchio" e così anche la zona circostante. Si trattava di una strada a mala pena acciottolata, larga quanto bastava per far transitare un asino, delimitata da muretti a secco alti non più un metro e mezzo, che si estendeva sino a località Quattroventi.
Il toponimo San Bartolicchio traeva origine dall'edicola che custodiva una piccola statua di San Bartolomeo, situata all’inizio della strada. Il toponimo Crocevia era invece riservato all’incrocio tra la strada dell’Oliastrello con la strada dell’Arso.
La stradella di San Bartolicchio ad ogni pioggia si trasformava in un ruscello in cui scorreva l’acqua raccolta dalla collina soprastante. Se la pioggia era abbondante il ruscello diventava un vero torrente e l’acqua defluiva con impeto e scavava anche l’antico tracciato della strada dell’Oliastrello. Da ciò deriva il toponimo poco conosciuto "Vallone" dato a quella piccola porzione di isola tra le contrade Oliastrello, Arso e Spalmatore.
Nel 1884 le acque, scorrendo tumultuose sulla stretta via, travolsero l’edicola di San Bartolicchio e la statuetta, miracolosamente salvata, venne alloggiata in altra cappella appositamente costruita su terreno messo a disposizione da Domenico Tranchina vicino al Gorgo dell’Oliastrello che oggi conosciamo con il nome di San Bartolicchio.
Scoglio della Colombara - Faraglioni
Scoglio della Colombara - Faraglioni
I documenti più datati conosciuti in cui è riportato il toponimo il faraglione della Colombaia sono la Topografia dell’isola di Ustica ed antica abitazione di essa di Andrea Pigonati, pubblicata a Palermo nel 1762, e la Pianta dell’isola di Ustica datata 1770, ritrovata nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Entrambi sono frutto della ricognizione dell’isola effettuata nell’aprile del 1759 da un gruppo di ingegneri guidati dall’ingegnere militare Giuseppe Valenzuola per predisporre il plano per la colonizzazione dell’isola realizzata nel 1763. La relazione Pigonati contiene dieci toponimi, la pianta quindici. In entrambi i documenti figura il toponimo «Palombaro», che non si riscontra in altri successivi documenti nei quali, invece, è riportato Colombaia, Colombaro, Colombajo., Colombaru.
Il toponimo è attribuibile ai pescatori trapanesi che frequentavano l’isola sin dal XVII secolo per la pesca del corallo. Frequentazione assidua anche nel Settecento come documenta Carmelo Trasselli nel suo saggio Il popolamento dell’isola di Ustica nel secolo XVIII, per Sciascia editore, Caltanissetta-Roma, 1966, pp. 107-109.
Il richiamo ai Trapanesi è suggerito dalla forte somiglianza del profilo dei Faraglioni con l’isolotto fortificato che sorge proprio innanzi al porto di Trapani, chiamato appunto Colombaia, Colombaya, Columbara, toponimo derivante «de colombes du Mont Erix, qui se passeur, blaient sur ses rocher, au moment de leur depart pour l’Afrique» (Cfr. Il libro delle torri di S. Mazzarella-R. Zanca, Palermo, 1985, p. 204).
Il faraglione è segnalato col toponimo Colombara nella carta del cap. Smyth nel 1823 e L. Merli nel 1867, nelle carte IGM Palermo e Foglio 249 del 1885; con Colombaio nella carta di P. Calcara del 1843; con Colombaro nella carta di Durando del 1896, in quella di L.S. d’Asburg del 1898 e nelle tavolette IGM del 1912, 1925, 1958 e del 970 vigente ancora oggi; Colombaia nella carta Ustica Island di Wharton nel 1874.
Il toponimo è stato attribuito alla vicina grotta sulla costa e alla grotta scavata dal mare sul lato nord dello stesso scoglio e anche alla secca, un tempo chiamata Secca Galera, che dista un miglio dalla costa.
Lo scoglio a levante della Colombaia è stato battezzato col toponimo Nerone nella pianta dell’isola a matita grassa disegnata nel 1957 dal pittore Giovanni Omiccioli, che figura solo in qualche cartina turistica.
Falconiera
Falconiera
La bellissima scogliera che si eleva ad un’altezza di 158 metri sul livello del mare nel versante Est dell'isola e costituita da porzione residua di cratere a monte della Cala Santa Maria. Il toponimo è uno dei più antichi dell'isola, riportato in molte carte e testi dell'isola risalenti all'epoca di Federico II e richiama le specie di falchi (falco pellegrino e falco della regina) che qui vi nidificano
Passo della Madonna
Passo della Madonna
“Rinvennero…una immagine della Vergine con Gesù morto nelle braccia, il che diede il nome al cosiddetto Passo della madonna, ove i fedeli eressero poi una piccola cappella”. Così scrive il Tranchina nella sua storia di Ustica.
Il termine “Passo” indica il piccolo viottolo, stretto e a strapiombo sulla cala, che un tempo collegava la contrada di Tramontana alla contrada Spalmatore.
Su questo luogo va citata una legenda tramandata dal Pitrè:
«Sopra un picco della montagna di Ustica, corrispondente all'attuale Passo della Madonna, sorgeva una volta una statua di Maria. Ora, al tempo che i barbareschi infestavano l’isola, un galeone di pirati approdò in quel posto per una delle solite scorrerie. Scesi i marinai e veduta la statua cominciarono a deriderla e di prenderla a bersaglio delle loro schioppettate. Ma al primo colpo tirato da uno di loro, la palla, ributtata, tornò come fulmine indietro, cadendo sul legno che colò immediatamente a fondo convertendosi in uno scoglio. Questo scoglio è comunemente inteso "lu bastimentu turcu", perché conserva la forma del galeone, sprofondato e piegato da un lato. A pochi passi ve n’è un altro molto più piccolo, che pare ed è ritenuto la sua lancia, pietrificata pur essa».
San Bartolicchio
San Bartolicchio
Col toponimo San Bartolicchio si individua la piccola porzione della contrada Oliastrello in prossimità della cappella omonima.
La storia di questo toponimo non è molto conosciuta e ha una base storica piuttosto recente.
Il 23 settembre del 1904 un violento temporale si abbatté sulle due contrade di Oliastrello e dello Spalmatore con una violenza mai vista prima risparmiando la zona del centro abitato.
In tale occasione vennero scoperchiate stalle e abitazioni, i buoi e gli asini sollevati in aria, grandi alberi vennero sradicati, si ebbero numerosi feriti e un confinato perse la vita. Insomma, una vicenda disastrosa per una piccola isola!
La salvezza della popolazione venne attribuita all'intervento di San Bartolomeo e ancora oggi, in ricordo di questo evento, in Contrada Oliastrello si svolge ogni anno, nella terza domenica di settembre, una festa religiosa locale con processioni, messa, balli e fuochi d'artificio chiamata proprio Festa di San Bartolicchio.
Nella foto si apprezza la Cappella di San Bartolicchio, che nel 1980 venne rivestita dalle ceramiche dell'artista palermitano Giovanni De Simone e che raffigurano la vicenda, con il Santo Patrono intento a proteggere l'Isola dall'uragano.
La Piazza
La Piazza
Piazza San Ferdinando, Piazza San Bartolomeo. Piazza Maddalena, Piazza Cap. Vito Longo, Piazza Umberto I°, Piazza della Vittoria. I nomi son tanti, ma la piazza è una, anzi era una. Ché adesso non c’è più e quel che di essa è rimasto ha tanti nomi. Si sta parlando della piazzetta di Ustica e della sua storia.
Cala Giaconi
Cala Giaconi
Questa magica cala si trova nel versante Nord-Est, e deve il suo nome ai caratteristici ciottoli o "ciacuni" tipici del fondale della cala. Tuttavia questo è un toponimo che divide due scuole di pensiero, infatti alcuni autori come Salvatore d'Asburgo riportano il nome Giaconi, mentre i puristi della toponomastica usticese le attribuiscono il nome Ciaconi.
Contrada Spalmatore
Contrada Spalmatore
La Contrada dello Spalmatore si trova sul versante occidentale dell’isola, si estende dal Passo della Madonna al faro di Punta Cavazzi. Il toponimo "Espalmatore" si ritrova in un documento del 1759 con cui Re Ferdinando dettò le norme per la colonizzazione dell’isola. Il toponimo Spalmatore deriva dalla parola "spalmare". È un toponimo che si ritrova anche in altre località, utilizzato per indicare zone in cui era agevole tirare a secco le galere per la «spalmatura», l’operazione con cui si spalmava grasso di sego sull’opera viva delle imbarcazioni per renderle più idrodinamiche.
Cala del Cannone
Cala del Cannone
Si tratta di un toponimo non molto conosciuto in cui termine “cala” è utilizzato impropriamente in quanto si tratta in realtà di una insenatura in prossimità di Capo Falconiera.
Il primo a segnalare il toponimo Cala del Cannone è il Tranchina che nella sua storia di Ustica narra che in prossimità di Cala Falconiera un lancione «si ruppe e vi lasciò un cannone».
Nel mezzo dell'insenatura, a circa 20 metri dalla riva e alla profondità di 18 metri,
fu rinvenuto un cannone borbonico in bronzo. Tale cannone è stato collocato alla Rocca della Falconiera e riporta a rilievo sul fusto l'anno 1780 un’ancora (logo della Marina borbonica).
Era situato nel mezzo dell’insenatura Il cannone fu portato in superficie nel 1956 per iniziativa di Ercole Gargano e grazie all'opera (in apnea) di Camillo Padovani e all'ausilio del motoveliero di legno San Giuseppe di proprietà della famiglia Pitruzzella.
'U capparu
'U capparu
‘U capparu è un piccolo tratto della costa di Mezzogiorno dopo Punta dell’Arpa. Il toponimo deriva dall’arabo Kabbar, cappero
Cfr. Lettera n. 3 del 1999 p. 29
TO_005
Falanga e Falanghedda di Siroti (Sidoti)
Falanga e Falanghedda di Siroti (Sidoti)
Falanga e Falanghedda sono due toponimi usticesi che con altri ricordano l’influenza linguistica degli arabi per la loro lunga permanenza in Sicilia e, probabilmente, per la frequentazione di Ustica da parte dei corsari del Maghreb che ne fecero il loro covo dal XV al prima metà del XVIII secolo.
Col termine falanga, falanghedda dall’arabo Falukah, si intende uno scoglio semisommerso o di un pontile d’imbarco.
A Ustica Falanga, Falanghedda d'i Siroti [di Sidoti] è chiamato lo scoglio in prossimità della punta che delimita Cala Sidoti, conosciuta dai bagnanti come scogli piatti; Falanga 'u Russu è invece lo scoglio alla base della Punta del Rosso presso la Cala Passo della Madonna.
Cfr. Lettera n. 3 del 1999 p. 29
TO_002
Via Vincenzo Di Bartolo
Via Vincenzo Di Bartolo
La via dedicata con delibera podestarile del 16 giugno 1933 al grande navigatore usticese figura nella mappe antiche col toponimo di strada del Fallo. Così nella pianta del centro abitato di Francesco Sidoti e in quella del catasto borbonico redatte nel 1852. Il nome originario trae origine dalla famiglia Fallo che in quella via abitavano. La famiglia Fallo figura nell’elenco delle famiglie eoliane che colonizzarono l’isola nel 1763: un Domenico Fallo nell’atto del 1769 è indicato assegnatario di «2 case nell’8vo tenimento di Ponente». Alla famiglia Fallo è riferito anche il toponimo Monte C.sta del Fallo.
Oggi la famiglia Fallo non è più presente a Ustica, mentre il cognome è molto diffuso nell’area di New Orleans dove i Fallo nella seconda metà dell’Ottocento sono emigrati. (AV)
Cfr Ailara Vito, Toponomastica, Via Vincenzo Di Bartolo, in «Lettera» n. 2, 1999, p. 32
Cfr. Mazzarella Salvatore, Il Capitano delle tre Isole, in Lettera n. 2, 1999, pp. 1-15
Cfr. Contratto enfiteusi del 28 febbraio 1769 di assegnazione delle terre e delle aree per l’edificazione delle case (Arch.CSDU 21doc 2126)
Cfr. Raccolta delibere podestarili 1931-1935 in Segreteria Comune di Ustica
TO_002
Calvario, Via Calvario
Calvario, Via Calvario
Il toponimo Calvario figura nelle mappe di Ustica di Salvatore D'Ippolito del 1807, di Don Michele Russo del 1810 e di Angelo Sidoti del 1852. È il primo monumento religioso edificato dai liparoti che colonizzarono l’isola nel 1763. Nel 1766 i coloni per invocare la pioggia eressero una croce sulle falde occidentali della Falconiera in posizione prominente rispetto il costruendo centro abitato. L’Arcivescovo di Palermo Serafino Filangeri con provvedimento del 7 novembre 1766 concesse indulgenze ai fedeli che vi sostavano in preghiera. L'assetto della via Calvario e l'altare ai piedi della croce vennero realizzati nei primi del 1769 e nel mese di aprile si liquidarono somme a Mastro Scibona «per aver fatto la strada del Calvario levato tutta la quantità delli massi di pietra che incontrarono, portato detta strada a declivio e accomodatoci il limito di pietra in secco (...) Più fatto in fine di detta strada l'altare di fabrica [sic] con due scalini mattonato sopra longo palmi». Nel luglio dello stesso anno fu acquistato il «crocefisso di carta pesta alto 7 palmi con sua croce di nodi e chiodi a triangolo» e, dall'anno successivo ebbero inizio le funzioni del Venerdì Santo così, come si svolgono ancora oggi con via crucis ed esposizione per tre ore del cristo di cartapesta in croce e successiva deposizione e processione dell’urna accompagnato dalla statua dell’Addolorata. In epoca successiva furono il sito è stato recintato da alto muro e aggiunte due croci più piccole ai lati della croce grande e, a fianco, un vano coperto che simboleggiava il sepolcro all’interno del quale per l’intera notte del Venerdì Santo i fedeli vegliavano pregando. Negli anni ’70 il “sepolcro” è stato demolito, le due croci laterali rimosse e sulle pareti interne al sito sono state alloggiati poste pannelli di ceramica per la via crucis.
Il Calvario è stato anche un punto topografico di attorno al quale hanno trovato soluzione alcune esigenze, alcune vitali per l’isola: la difesa e l'approvvigionamento idrico ed il culto dei morti. Dai suoi piedi, infatti, si dipana la stradina, aperta nel 1801, che collega agevolmente il Paese alle fortificazioni della Falconiera; nella stesa direzione si sviluppa la necropoli ellenistica e quella paleocristiana; alle sue spalle venne realizzato nel 1885 il primo grande cisternone, ancora attivo, e i collettori dell’acqua piovana raccolta dalla Falconiera; una strada laterale conduceva ad una delle cave di tufo compatto e consistente particolarmente frequentata per la produzione di conci. (AV)
De Marco Spata, Ustica costruzioni civili militari e religiosi nella seconda metà del 700, ed. Leopardi, Palermo, 1992.
Calvario, in «Lettera» n. 1, 1999 pp. 29-30
Cfr. Lettera del 7 novembre 1766 dell’Arcivescovo di Palermo Serafino Filangeri in Libro dei battesimi Matrimoni e Defonti 1763-1769 della Parrocchia di Ustica
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