Domani 11 maggio inizia a Ustica il POF (Piano dell’Offerta Formativa) dal titolo «Il confino politico ad Ustica: un “laboratorio privilegiato” di collettivi antifascisti» concordato con il Liceo Scientifico Einstein di Palermo.
Ospiteremo nel nostro Centro Studi gli alunni di due quinte classi per illustrare l’esperienza straordinaria vissuta a Ustica nel 1926 quando il regime fascista mandò al confino oltre 600 oppositori politici. Agli studenti che vengono a indagare questa pagina di storia faremo visitare i luoghi della memoria più rappresentativi (case, cameroni, celle, caserme, scuola) e descriveremo difficili condizioni di vita dei confinati col supporto di foto e di scritti dei protagonisti, tratti da pubblicazioni e da atti di archivio. Metteremo inoltre in evidenza le esperienze di vita comune dei confinati, che a Ustica costiturono il primo nucleo della Resistenza, trasformando così il confino in una esperienza costruttiva.
Responsabile del progetto per il Liceo “Einstein” la Prof.ssa Agatina D'Ancona; per il Centro Studi il Presidente Vito Ailara.
La mostra fotografica La Pistata delle lenticchie è stata esposta a Ustica nei locali del Fosso nel 2001. Autore delle foto è l’usticese Bruno Campolo, che con la sua passione per la fotografia e per la sua isola natia si è reso testimone attento a cogliere gli ultimi documenti della vita contadina, ora in profonda trasformazione tecnica, contribuendo a salvarne la memoria; autori dei testi sono Nicola Longo, socio fondatore del Centro Studi, agronomo usticese, e la figlia Margherita, titolari di un’azienda agricola specializzata nella produzione di lenticchie. I sessantaquattro pannelli della mostra hanno voluto essere un omaggio ed un segno di gratitudine alla civiltà contadina usticese. Con essa si è voluto proporre al pubblico il valore antropologico e culturale di un rapporto speciale tra l’uomo e la terra ed un documento fedele ed efficace per non disperdere nell’oblìo la tecnica di coltivazione della lenticchia di Ustica.
Nel contempo si è voluto anche dare risalto ad un alimento un tempo fondamentale nella dieta dei nostri contadini e ad un legume molto richiesto nel mercato, ed esportato con successo: un prodotto, quindi, di grande valenza economica per gli isolani. La pistata, operazione conclusiva del ciclo lavorativo della coltivazione del legume, consiste nella frantumazione all'interno dell'aia dei piccoli baccelli e dell'intera pianta ormai essiccata, nonché nella successivaspagghiata al vento per la separazione della paglia dalle lenticchie ed infine nella cirnutacon l'apposito grande setaccio circolare detto crivu. La lenticchia di Ustica (Lens culinaris Medik) è coltivata nell’isola fin dai tempi della sua colonizzazione. Il suo pregio è dovuto alla natura del terreno vulcanico ed alle sue piccolissime dimensioni, oltre che alla tenerezza, al gusto intenso ed al profumo nella fase di cottura. Seminata tra dicembre e gennaio con l’aiuto di un asino e di un aratro di ferro, la lenticchia necessita di cure particolari.
Con piccole zappette (zappudda) viene eseguita in marzo la zappuliataper eliminare le erbe infestanti: un’operazione faticosa fatta in gruppo secondo una vecchia usanza di cooperazione (aiutu p’aiutu). Le piante di lenticchie si raccolgono con molta cura nella prima metà di giugno estirpandole manualmente nelle primissime ore mattutine o, addirittura, nelle notti di luna piena, quando i baccelli ancora umidi per la rugiada trattengono il seme e restano attaccati alla pianta. Essiccate al sole (caliàte), le pianticelle vengono sparse nell’aia per essere schiacciate (ammansate) da asini spronati a correre al suo interno. Agli asini subentrano le mucche che, appaiate con un giogo, trascinano la pietra di pistariper la rottura dei baccelli. Quando i baccelli sono tutti rotti, ha inizio la spagghiata per separare il legume dalla paglia sfruttando il vento, né lieve perchè altrimenti non avverrebbe la separazione della paglia, né forte, perché porterebbe via anche il legume.
La spagghiàta coinvolge più addetti che, governando con maestria il tridente di legno, sollevano in alto lenticchie e paglia per espellere quest’ultima fuori dell’aia. Segue la paliàta, utilizzando una pala di legno al posto del tridente, per ultimare, sempre con la forza del vento, la separazione degli ultimi residui di paglia (annittata). Così si va formando al centro dell’aia il mucchio di lenticchie, ilmunzeddu. Indi l’aia viene accuratamente ripulita con piccole scope (scupitti) fatte con piante secche di lino. Nessun seme di lenticchia deve andare disperso. Non appena il munzeddu, simbolo e segno di un traguardo raggiunto, è costituito, compare nell'aia il cernitore (cirnituri) con un setaccio rotondo di pelle d’asino di un metro di diametro (crivu), che viene appeso ad un treppiedi (triangulu). La delicata fase della cernita (cirnùta) porterà ad ottenere lenticchie pronte da insaccare. La pistata, tecnica utilizzata anche per il grano, l’orzo, le fave e altri legumi, è ora soppiantata da nuove tecnologie ed è caduta in disuso. Anche per questo la mostra quindi assume il valore di un documento di particolare importanza per la tutela della memoria storica del lavoro contadino usticese.
Per approfondimenti leggere gli articoli:
* La Pistata delle lenticchie, di Nicola e Margherita Longo, in “Lettera” n. 13-14 aprile-agosto 2003.